Non è forse la vita più illustre quella che conduce un giovane a divenir tribuno a vent’anni secondo il nostro rispettabilissimo cursus honorum e vi è forse qualcosa di un valore maggiore della stima dei legati legionii quando si è poco più che un puer?
Il praetor Attico Terentio si massaggiava il mento mentre camminava lentamente, con la schiena ben retta, all’interno delle sue stanze. Aveva da poco intrapreso la realizzazione di un suo memoriale, la cui messa per iscritto spettava a Gneo Quinto, uno scriba dall’aggraziata e raffinata calligrafia.
Ogni volta che svolgeva le sue mansioni all’interno della città o doveva presenziare al cospetto di un sottoposto, fosse esso un milite, uno scriba o una concubina, amava usufruire del suo tanto agoniato Ius Togae e si faceva vestire con la toga praetexta dalla sua puella preferita, sfiorava con l’indice il tessuto porpora e ordinava di farlo spazzolare tre volte per lato, si faceva ungere la barba con olio di rose e si regolava capelli e sopracciglia così che assumesse le sembianze di una statua degna della mano di un Fidia e l’autorità di un generale come Cesare stesso.
Aveva un portamento regale e una voce bassa che fluiva armoniosa come miele nel vino, amava leggere, specialmente le opere degli storici e trovava sempre di che storcere il naso negli scritti di Cicerone su cui però tornava periodicamente. Era da molti riconosciuto come un homo bonus, alcuni lo consideravano un optimates e aveva percorso le tappe della carriera militare nei tempi prestabiliti per potersi considerare orgoglioso dei propri traguardi, come tutti si era arruolato a diciassette anni, era divenuto tribuno a venti, quaestor a trenta ed era stato onorato della carica di edile a trentasei anni che lo aveva portato a spostarsi in un edificio di maggior prestigio per occuparsi degli affari interni di Roma, infine a trentanove anni si era candidato per la posizione di pretore che aveva ottenuto in sei mesi.
Anche nei vizi era discreto, amava l’opulenza ma non era mai eccessivo o avaro, era circondato da donne ma non fu mai vittima di scandali e preferiva averne poche ricorrenti rispetto a circondarsi di compagnie sempre diverse.
Possedeva una villa con cinque servitori e sua moglie gli aveva fatto dono di due figli maschi, il suo onore non poteva essere più intoccabile e coloro che lo conoscevano lo consideravano il perfetto esempio di cittadino romano.
Era solito portarsi sul campo il suo molosso, il compagno più caro con cui aveva passato più tempo rispetto agli altri membri della famiglia e anche quel giorno, nel suo incedere a passo lento e pesante, assorto tra gli aggettivi migliori per descrivere le sue gesta, il buon Aiax gli stava dietro sfiorandogli con l’umido tartufo la mano ogni qual volta Attico si fermasse.
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